Ne parlavo proprio oggi saltando la riunione abituale che da un pò di week end abbiamo a 21Wol: con il presidente di The Bright Side (preso dalla campagna per il giornalismo delle "altre" notizie, con il direttore di Rivoluzione positiva, me e Giangiacomo Schiavi, uno di quei colleghi che rappresenta esattamente la mia idea di comunità, la comunità del Corriere della sera, e di Milano, con cui mi sento in perfetta sintonia. Sono riunioni che Schiavi, il primo giorno, ha definito "Giornale parlato". Facendo riferimento a una abitudine simile alla nostra che aveva un altro gruppetto di intellettuali come Biagi con dei suoi contemporanei.
Noi lì sfogliamo nostre riviste, parliamo di come sono volate alte le idee migliori con l'assegno giusto di Garzanti e altri personaggi, per attivismo nella nostra città, di notizie e impegno a fare rete, che danno un contributo nel solco del giornalismo culturale e civile, e parliamo di un progetto che già si nutre di un suo storytelling per le atmosfere di trovarci ogni volta tutti là.
Un luogo ci vuole. E prima di me lo diceva Cesare Pavese mi pare.
Il bene comune è fatto di routine pure quando è tesa a cambiare tutto.
Quando entri, sulla destra c'è il libro Il bene comune, con la sua copertina rossa e il titolo scritto dentro a una bandiera che sventoliamo con - l'altro titolo che gli è accanto - Orgoglio e sentimento.
Quando fa freddo rientriamo dentro. La vetrata mi ricorda il mio fascino per la casa della Cultura a Stoccolma.
Eravamo indietro di tanti anni. Adesso con 21Wol, con Combo a Ripa di Porta Ticinese ecc ecc stiamo recuperando quel futuro che volevamo.
Dove essere presenti vuol dire di più di quanto diciamo.
Intellettuali, correnti artistico letterarie, il caffè di Verri. Possono esistere ancora?
Se non le riconosciamo non vuol dire che non esistono.
A me da quindi anni mi presentano come intellettuale, le ultime "un intellettuale prestata alla politica", "un intellettuale titto tondo anche se è un termine desueto".
Un mio docente liceale, che "non andò per nulla d'accordo con me", disse due cose che però salvai dal disfattismo della situazione: una che in quella classe ci saremmo dovuti sentire degli intellettuali, solo così avremmo rispettato il nostro ruolo di studenti e il ruolo nella società verso i nostri tempi.
Due: un libro che ci consigliava di leggere.
Il rosso e il nero.
Feci entrambe le cose. Forse ce ne furono anche due di suo apprezzamento verso di me. Ma quelle non mi interessano. Ero abituata ad averli. Da insegnanti che lasciarono altri aspetti importanti. Ma in effetti questi due arrivarono solo quella volta.
La sostanza e la distanza più grande tra noi?
Egli considerava la partecipazione qualcosa di secondario, sostituito dal "quartod'ora di gloria".
Un concetto che non digerirò mai. Perché l'intellettuale è tale se impegnato nella sua società non se nella sua solitudine e nella sua vanagloria.
L'intellettuale non è il bene comune, ma il bene comune ha bisogno di noi intellettuali, e mi piacerebbe davvero che potremo lasciare a chi verrà dopo di noi delle correnti culturali come furono il Futurismo, il Verismo. Altrimenti ogni azione si disperde. Nessuno si sente di nessuno che non è libertà è solitudine.
A Milano - mi sembra di poter dire - in questo settembre ottobre, novembre alle porte: eccoci.
Benedetta Cosmi
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