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A cosa serve?



Questa domanda dovrebbe ossessionarci ogni giorno senza soluzione di continuità?


A cosa serve quello studio, si domandano gli studenti a scuola.


"A cosa serve" dovrebbe chiedersi ognuno nello svolgimento delle proprie funzioni.


A cosa serve, è anche l'ultimo atto prima dello scoramento. Quando non ha più forza ciò in cui credevamo.


Me lo ha scritto ieri un caro amico, già un grande accademico, che al tema dell'educazione (sempre immessa nella comunicazione e nelle tecnologie) ha dedicato molto tempo e chiamato a farlo ancora in tanti seminari fino a fine anno dice che è felice ma aggiunge "a cosa serve?".


Una domanda che arriva come un macigno. Ho risposto con leggerezza.

Ho detto allora cosa serve: "l'amore, il sesso, il cibo". Non mi ricordo se ho messo altro. Ma se togliamo la sfera pubblica, e ci scade l'impegno, e ci sembra che si fanno tante cose, ma alla fine l'ennesimo incontro con radunati tanti a dire e far dire, non serve, è una passerella alle quale essere o non essere (che cambia). "A che serve?". Del resto, penserà "se non è servito fin qui?". Se le cose che abbiamo sempre detto le iniziano a capire ora. Sarà valsa la pena questa proiezione quotidiana al bene comune?

Del resto come insegnano pure I promessi sposi, e tanti altri libri e pagine di quotidiani, fare sempre bene ha un percorso così lento, ma così lento che forse è irrilevante.


(Ah sì mi ricordo. Avevo messo nell'elenco anche la musica, sapendo che quell'amico - che si sta ponendo la domanda, "a che serve?", suona uno strumento musicale, la tromba, mi pare.

Insomma a che serve, si domandava, partecipare a così tante cose anche quando sai che non serviranno a nulla perché mancano di quella cosa che fa accadere i cambiamenti).


C'è qualcosa a cui dedichiamo la vita?

La vita per la vita?

L'arte per l'arte?

Fare tanto per fare.

Dire tanto per dire.

Continuare tanto perché per inerzia è più facile continuare, rapporti senza rapporti.

Tutti noi dovremmo essere apripista, io penso che chi apra nuove strade siano gli stessi che credono nelle tradizioni. Non mi sembrano inconciliabili.

Perché chi conosce la scintilla la riconosce anche ogni giorno nelle cose che fa e che sono nate per mano di un altro sognatore coi piedi per terra, un razionale con le ali, un entusiasta con la corazza, come lui, per un grande amore o solo per una straordinaria delusione.


A cosa serve?

Io ero solita rispondere con:

"a che pro?".


Una volta ho ricevuto una chiamata sul cellulare.

L'interlocutore mi invitava a passare. Intorno i colleghi erano molto euforici. Una chiamata molto importante. Non scontata.

Alla mia risposta, l'interlocutore si stava affrontando a specificare l'ora.

Ma io non avevo risposto: "a che ora".

Io avevo detto: "a che pro".


Quando ieri mi ha chiesto "a che serve?", ho capito che era come il mio "a che pro", allora quando ce lo chiediamo in quella accezione, vuol dire che abbiamo già fatto un bilancio. E il bene comune ha perso.


Perché in questa rubrica lo sappiamo. Siamo coscienti.

Il bene comune ha perso.

Occasioni, persone, luoghi, e persino il contrasto.

Tutti lo nominano come quei top manager che parlano dei giovani, i giovani che non assumono, o meglio i top manager che assumono da pensionati così tanti ruoli strategici per il Paese e per le sue aziende d'innovazione che verrebbe da dire: restare a che serve?

Pure a chi è rimasto.

Ma che ha trovato altri modi per non partecipare più.

Il gioco è finito. La vita va avanti senza un pezzo di noi. Ma nessuno se ne accorgerà. Fino a quando qualcun altro non si chiede: "a che serve?".


E così nascerà un nuovo giornale o un altro grande amore, o una bellissima canzone.


di Benedetta Cosmi














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