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Abitare poeticamente il mondo


Una casa tra le parole

“C’è qualcosa della vita che non scompare, ma che si allontana. Semplicemente si allontana per un certo tempo, come un bambino che ha avuto troppi maltrattamenti eviterà di trovarsi in presenza dei genitori che lo maltrattano. La natura, la verità, la bellezza, la dolcezza, la lentezza che sono state danneggiate sono solo indietreggiate e diventano un po’ più difficili da cogliere, da vivere. Troppo male è stato compiuto, ma non è irreversibile. Non credo all’irreversibile. Rimango molto fiducioso e lo sarò sempre, l’umano nel profondo è invincibile, incancellabile. Torneremo alle cose vive e vere. Ma per questo, occorrerà che si raggiunga il punto di estrema stanchezza. Occorrerà che non si possa fare altrimenti. L’uomo di oggi non è più cattivo di quello di ieri, è soltanto più smarrito”. Christian Bobin, Abitare poeticamente il mondo.

Ho acquistato questo piccolo libro (nel senso di dimensione) qualche giorno prima del lockdown di marzo. Le parole che aprono il volumetto sono profetiche, ma soprattutto mi hanno dato l’esatta fotografia del cuore e del movimento poetico che anima la poesia e la vita in genere. Nessuno di noi è ramo secco per sempre, inesorabilmente. In nessuno di noi abita l’immobilità, il vuoto, il silenzio, l’isolamento. Quello che ci accade è sempre temporaneo, perché in ogni momento possiamo cambiare non tanto noi, ma il nostro “dentro”.

Ad un certo punto, se lo vogliamo, la casa che esiste in noi si illumina, si apre, la arrediamo, la puliamo e la abitiamo. Ci vengono anche a trovare, in quella casa. E saranno parole piene di luce, anche di ombre ma comunque apparterranno a noi. Così accade per ogni creazione di bellezza.

Lo stupore di questa scoperta accompagna sempre chi scrive poesie, chi lo scopre per la prima volta. Forse bisogna arrivare a non credere che ci possa essere un’alba nuova, così da abbracciare il sole che di nuovo riappare. La poesia di Patrizia La Marra è la nostra casa, il nostro mondo che dovremmo abitare poeticamente.

“La scrittura di Bobin è certamente poesia, perché è colma di silenzio, perché ha al proprio centro il silenzio: lo suscita, lo impone alla lettura, come respiro obbligato, come passo di forte e lento camminatore. Non lo si può leggere di corsa. La lentezza che egli persegue contagia il lettore e lo sistema in quel verbo di cui Bobin è maestro: l’auscultare, cosicché da lettori si diventa auscultatori, da corridori distratti a meditanti, da divoratori onnivori ad attenti. Bobin dunque ci conduce fuori dall’ordinario, ci educa”. Mariangela Gualtieri

Monica Maggi

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