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Immagine del redattoreTonino Esposito

Il bene si fa, ma non si dice


«Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca.»

Per questo Gino Bartali non amava raccontare cosa aveva fatto, e preferiva essere ricordato solo per le sue imprese sportive.

Effettivamente lui era un grande campione, ma non solo perché vinse tantissime gare.

Non solo perché quando vinceva rifiutava di fare il saluto romano.

No. Gino Bartali era un campione di umanità e solidarietà, perché quando la sua carriera di ciclista fu bruscamente interrotta dalla Seconda guerra mondiale, lui ne iniziò un’altra di carriera, molto più importante.

Entrò a far parte di una rete clandestina coordinata dal rabbino di Firenze Nathan Cassuto, l’arcivescovo Elia Angelo Dalla Costa e il vescovo di Assisi Giuseppe Placido Nicolini. Cercavano di proteggere gli ebrei locali dando loro una nuova identità, per salvarli dalle retate, e consentire l’accesso al razionamento alimentare.

Ma per fare questo avevano bisogno di un “postino” che trasportasse documenti, foto, informazioni. Gino Bartali era la persona giusta, era un volto noto, ma con la scusa degli allenamenti non avrebbe dato troppo nell’occhio. E così tra il settembre 1943 e il giugno 1944 fece da corriere, tra Firenze e Assisi. A volte addirittura tra Firenze e Roma. Erano tanti chilometri, ma per lui non era un problema. Nascondeva i documenti nel telaio della sua inseparabile bicicletta o sotto il sellino, e portava i plichi a una tipografia clandestina che avrebbe poi falsificato i documenti di identità necessari per far scappare intere famiglie di ebrei, in pericolo.

Ovviamente i rischi erano altissimi, e se fosse stato scoperto sarebbe stata la fine per lui e per la sua famiglia. Anche per quello non diceva a nessuno cosa faceva, nemmeno alla sua amata moglie. Non raccontò nemmeno che aveva nascosto una famiglia di ebrei in una cantina vicino casa sua.

Perché quello era per lui il suo modo di combattere la guerra: "Io salvo le persone, se sono ebree o musulmane o di altre religioni a me non importa niente. A me interessa la vita".

E lui, con il suo coraggio e la sua generosità, contribuì a salvare 800 vite umane.

Un grande ciclista, un grande uomo.


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