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Immagine del redattoreTonino Esposito

#IoSiamo storie italiane di volontariato

Abbiamo iniziato a raccogliere storie di volontari nella primavera del 2017, e da allora non ci siamo più fermati. Dopo aver scritto e messo in scena tanti spettacoli di teatro (come “Mafie in pentola”, sui prodotti di Libera Terra, e “Tutto quello che sto per dirvi è falso”, sul legame tra contraffazione e criminalità organizzata) che raccontavano il male della nostra società, per cercare poi di individuare un elemento di umanità nella risposta a quel male, stavolta volevamo fare l’esatto contrario: partire dal bene, dalle azioni quotidiane che donne e uomini compiono per rendere il mondo un luogo migliore.


Il volontariato ci è sembrato subito come un naturale punto di riferimento per la nostra ricerca, anche perché avevamo scoperto – con nostra grande sorpresa – che non era stato fatto nulla di simile prima. Mancava allora, in Italia, una produzione culturale dedicata a un fenomeno che riguardava, secondo Istat, ben 5,5 milioni di persone, pari a quasi un decimo della popolazione nazionale: un vero e proprio esercito del bene, silenzioso e instancabile. Così siamo partiti, inizialmente da amici e conoscenti impegnati in varie attività nella zona di Bologna, per poi ampliare l’orizzonte, utilizzando la rete creata in oltre dieci anni di attività sul palcoscenico.


Così è nato #IoSiamo, rigorosamente con l’hashtag per sottolineare un fenomeno frutto della condivisione. Dalla raccolta delle storie al debutto dello spettacolo sarebbero passati diversi mesi, perché la “prima anteprima” andò in scena il 17 marzo 2018 a Milano, teatro Elfo Puccini. Nel mezzo ci fu il prologo davvero speciale dell’1 ottobre 2017 a Bologna, nella basilica di San Petronio, in occasione della visita pastorale di Papa Francesco: la chiesa fu trasformata in un grande convivio, per il pranzo del Papa con i poveri della città, e le prime storie di #IoSiamo interpretate da Tiziana accompagnarono il lavoro dei volontari prima del servizio ai tavoli.


Da allora, lo spettacolo è stato rappresentato in tutt’Italia, da Aosta a Palermo, in teatri, piazze e anche luoghi istituzionali, come in Senato per il Premio al volontariato (9 novembre 2019). E con la tournée è continuata la raccolta delle storie, perché ogni data si è sempre conclusa con una storia di volontariato del luogo in cui #IoSiamo è andato in scena, come per dire: quello che vi abbiamo raccontato non succede su Marte, succede anche sotto casa vostra. E così fino al mese di febbraio del terribile 2020 – che si era aperto con la storia dei volontari del carcere raccolta per l’inaugurazione di Padova capitale europea del volontariato, davanti al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – e allo scoppio dell’epidemia da Covid-19 che ha bloccato tutto, compreso lo spettacolo.


Il volontariato però non è finito in lockdown: in un Paese spaventato e sofferente, l’azione dei volontari, spesso portata avanti con formule innovative e con l’ausilio del digitale, è stata una delle ancore di salvezza per malati, persone anziane costrette a non vedere nessuno, poveri che sono diventati ancora più poveri. Dal 9 marzo al 4 maggio 2020, dal primo all’ultimo giorno di lockdown, abbiamo raccolto una storia quotidiana di volontari impegnati sul fronte Covid, diffondendola attraverso YouTube e i social network di Tiziana, realizzando così un Tg del Volontariato dal salotto di casa nostra, che ha rappresentato in qualche modo la chiusura del cerchio rispetto all’intenzione iniziale di #IoSiamo: siamo ripartiti dal male e dal dolore per arrivare all’unica risposta possibile, che si chiama amore. L’amore dei volontari.


Il libro #IoSiamo raccoglie alcune di queste storie, entrando più a fondo nella vita delle persone che hanno accettato di raccontarcele. Ciascuna storia riguarda un ambito diverso del volontariato, formando un panorama certamente non completo ma, speriamo, almeno significativo del fenomeno. Abbiamo deciso di aprire con la vicenda di una donna straordinaria come Norina Ventre, ultranovantenne all’anagrafe ma ancora adolescente in un cuore che batte per i suoi “ragazzi” immigrati a cui presta aiuto e ascolto, e di chiudere con i volontari impegnati nel recupero sociale dei detenuti, perché anche quest’ordine ci sembrava potesse rappresentare una chiusura del cerchio costruito attorno al desiderio di iniziare una vita migliore: lontano da guerre e miseria nel primo caso, lontano dagli errori commessi (e da un ambiente che non aiuta a comprenderli) nell’ultimo caso.


Un giornalista ci ha chiesto, durante un’intervista, perché secondo noi in Italia ci fosse questa forte cultura del volontariato. Secondo la nostra esperienza, perché l’Italia è un Paese profondamente ingiusto, nel quale però ci sono persone che credono alla giustizia e non si sono rassegnate a subire l’ingiustizia, perciò si mettono personalmente in gioco. Perché ci sono parti dello Stato che dovrebbero occuparsi delle disuguaglianze sociali e invece non lo fanno, per assenza di fondi o per disinteresse politico, perciò devono intervenire le associazioni create dalle persone per rimediare “dal basso”. Certamente un contributo importante arriva dalle associazioni religiose, in particolare quelle legate alla Chiesa cattolica, e dalla cooperazione.


Certamente non è solo un fenomeno italiano, perché le ingiustizie e le disuguaglianze ci sono ovunque, ma questo fatto non ci consola, perché l’assenza dello Stato non può essere compensata dal volontariato e perché il volontario non può rappresentare la soluzione a una mancanza strutturale di forze e risorse, nel qual caso finisce per diventare un modo per non creare occupazione nell’ambito sociale. Il volontariato è un valore aggiunto di cui non si può fare a meno; perché è l’aiuto umano, la mano tesa verso gli altri. Il volontariato è fonte di benefico contagio perché, citando un insegnamento buddista, tutte le volte che accendi un lume per illuminare la strada di un altro, la tua stessa strada ne sarà illuminata. Il volontariato funziona perché fa star bene chi lo fa.


C’è però una minaccia evidente al futuro del volontariato, perché l’età migliore per impegnarsi è quella tra i 55 e i 70 anni, l’età in cui un tempo si andava in pensione. Con l’allungamento dell’età pensionabile, rischiamo di consegnare le persone “dal mondo del lavoro alle Asl”, troppo vecchi e troppo stanchi per mettersi a disposizione del prossimo. È quindi fondamentale diffondere la cultura del volontariato tra i giovani ed è per questo che la vera sfida per formare nuovi volontari passa attraverso la scuola: i benefici riguardano tutti, a cominciare da chi tra i più giovani sceglierà di diventarlo, perché è davvero difficile imbattersi in un volontario cinico, triste o depresso. Anzi: come racconta Mario, il volontariato può essere la più efficace medicina contro la depressione, senza neanche un effetto collaterale. Forse però uno ne ha… Perché il volontariato crea dipendenza e, una volta che inizi, difficilmente te ne puoi staccare: nemmeno se gli impegni aumentano, se le situazioni cambiano o se gli ostacoli più grandi li trovi proprio all’interno della tua associazione, come se fosse un fuoco amico che tenta di colpirti in guerra. Il volontario va avanti, comunque: perché qualcuno ha bisogno di lui, e allora tutto il resto diventa secondario.


A cura di Tiziana Di Masi e Andrea Guolo






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