top of page

Ci sono storie con un finale già scritto.

Nasci in un quartiere di periferia. Hai un padre violento che a un certo punto se ne va dalla tua vita. Hai amicizie sbagliate. Hai valori sbagliati, perché pensi che la felicità sia un paio di scarpe di marca non contraffatte. Forse perché non hai altro, forse perché è così per tutti quelli che hai intorno.

Sei un bullo. I professori ti tollerano a stento. Tu però vuoi sfondare, farti notare, vedere, ascoltare, sentire. Soprattutto da chi pensi ti abbia ignorato. E scegli la strada sbagliata: piccoli furti che poi diventano sempre più grandi, fino a quando succede l’irreparabile. Una rapina in banca.

La storia è già scritta: da ora in poi potrai solo entrare e uscire dal carcere minorile prima, da San Vittore poi. Dentro e fuori, in una spirale di violenza, degrado e rassegnazione. Provi la solitudine, il dolore di aver fatto soffrire chi ti ama, la consapevolezza di aver sprecato gli anni migliori della tua vita.

Potrebbe essere una storia con il finale già scritto, ormai sei caduto talmente in basso che niente e nessuno potrebbe farti rialzare.

E invece no. Il finale di questa storia cambia nel momento in cui succede un piccolo miracolo e trovi qualcuno che ha la forza di credere in te, di farti il dono più prezioso che ci sia: la fiducia. Una psicologa nel carcere che ti invita a leggere libri, perché “senza le parole quello che rimane è la violenza”. Una professoressa volontaria che ti dedica tempo per aiutarti a studiare e a riprendere la scuola. Un’educatrice che invece di punirti decide di metterti alla prova. Un brigadiere che ti insegna il valore del “noi” rispetto alla tristezza del solito “io”. Un avvocato che non vuole solo tirarti fuori dal carcere, ma evitare che ci ritorni.

Ma soprattutto un uomo, don Claudio Burgio della comunità Kayrós, che ti accoglie senza giudicare, riuscendo così a cambiare il finale di questa storia, che in fondo non era già scritta. Perché basta poco per scegliere un finale migliore.

È quello che è successo a Daniel Zaccaro, un ragazzo difficile con un destino forse segnato, un ragazzo che praticava la violenza perché non sapeva usare le parole. Perché la violenza è un segno della povertà di pensiero. Ma grazie all’incontro con adulti speciali, che hanno avuto il coraggio di credere in lui e di dargli fiducia, Daniel, il bullo di periferia che è stato in prigione, capisce i suoi sbagli, cresce, studia, si laurea in scienza dell’educazione. E diventa un uomo, un educatore, che aiuta i ragazzi in difficoltà a cambiare il loro di finale.

Oggi è la giornata contro il bullismo e la storia di Daniel Zaccaro, che è raccontata nel libro di Andrea Franzoso, “Ero un bullo”, è una storia potente che ha il merito di porre l’accento su un particolare a volte un po’ trascurato: il ruolo degli adulti. Spesso gli adulti brillano per assenza o peggio indifferenza, tanto per il bullo, quanto per la vittima che si sente abbandonata a se stessa. Ma per entrambi, bullo e vittima, l’incontro con un adulto responsabile, capace ed empatico può fare la differenza, e permettere un finale diverso a una storia altrimenti già scritta.

Un adulto capace di tendere una mano, perché come ci ha ricordato Papa Francesco ieri: “Un uomo ha il diritto di guardare dall'alto in basso un altro uomo solo per aiutarlo a rimettersi in piedi”.



La farfalla della gentilezza

(La storia di Daniel Zaccaro è una storia vera. Andrea Franzoso l’ha raccontata nel suo libro: “Ero un bullo”, De Agostini, 2022. Una lettura che può essere di grande aiuto, per i ragazzi in difficoltà, che possono ritrovarsi nella sofferenza di un Daniel che non sapeva comunicare se non con la violenza, ma soprattutto per gli adulti, che non devono ignorare il loro ruolo fondamentale.)

11 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page