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Il coraggio nei tempi bui

Il coraggio che illumina i tempi più bui


Serafina Mauro era sposata con Umile Zazzaro, un contadino che si spaccava la schiena per coltivare un piccolo pezzo di terra a Tarsia, in provincia di Cosenza.

All’epoca avevano già quattro figli, quattro bocche da sfamare, in un momento non facile. Ne avranno poi sette in tutto.

Era il 1940, e la Seconda guerra mondiale, che stava cambiando la geografia e la storia europea, sconvolgeva anche gli abitanti di Tarsia.

Questo perché a Ferramonti, un tempo zona paludosa e malarica appena fuori Tarsia, venne costruito il più grande campo di internamento italiano. Novantadue baracche che dal 20 giugno 1940 accolsero centinaia di ebrei, per la maggior parte stranieri, e altri “nemici” del fascismo tra cui greci, slavi e alcuni cinesi.

A Ferramonti arrivarono anche gli ebrei sopravvissuti all’epopea del Pentcho (di cui abbiamo parlato qualche settimana fa): cercavano di scappare in Palestina, ma dopo il naufragio nel mare Egeo, e il salvataggio da parte di una nave italiana, finirono confinati a Ferramonti.

Un giorno Serafina Mauro riuscì a intravedere un gruppo di internati. Serafina era povera e conosceva bene la fame, la miseria e le privazioni, ma quando vide quelle persone spaventosamente magre ed emaciate, rimase turbata e sconvolta. Non aveva mai visto nulla del genere. E soprattutto non capiva perché erano lì: non avevano fatto nulla di male.

Da quel momento, decise che quel poco che aveva da mangiare andava condiviso con quelle persone che non avevano più niente. Con la complicità di una guardia, riuscì a donare ogni giorno del cibo, e a portare un po’ di conforto e di calore umano fino a quando, nel dicembre 1943, il campo di concentramento venne liberato dai soldati britannici.

Serafina, l’Angelo di Ferramonti, è morta nel 2012 a centoquattro anni, ma fino all’ultimo non ha smesso di ricordare e raccontare una pagina poco nota della nostra storia.

Storia che si può ripercorrere andando al Museo Internazionale della Memoria di Ferramonti di Tarsia. Bisogna andarci per capire cosa è stato il fascismo, per toccare con mano l’orrore di un campo di internamento, ma anche per cogliere gli episodi di umanità e solidarietà da parte della gente di Tarsia. Piccole storie che dimostrano che forse ci può essere un po’ di speranza anche nei momenti peggiori.

La farfalla della gentilezza


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