Eoun Yeak da bambino è stato costretto a fare qualcosa di molto brutto: durante la guerra tra Cambogia e Vietnam ha dovuto minare chilometri e chilometri di territorio cambogiano. Prima per i Khmer Rossi, poi per l’esercito vietnamita. Migliaia di mine. Il che vuol dire che chissà quante persone sono state uccise o rimaste mutilate a causa sua. Eoun all’epoca non aveva scelta perché era un bambino soldato, orfano e senza speranze.
Ma il peso di queste sue azioni lo ha tormentato a lungo, e a guerra finita, nel 1991, Eoun (più noto con il soprannome di Aki Ra) è letteralmente tornato sui suoi passi per rimuovere quegli ordigni mortali che avrebbero altrimenti continuato a mietere vittime. Ha lavorato con l’ONU come sminatore, rendendosi prezioso per la sua esperienza, ma poi ha proseguito da solo, senza sofisticati strumenti o protezioni. Usando un bastone, un coltellino e una zappa ha cercato di rimuovere tutte le mine che aveva piazzato durante la guerra.
Gli involucri ormai vuoti e innocui li portava a casa, e poi per mantenersi, li rivendeva in parte come rottami.
A quel punto si era ormai sparsa la voce del giovane che ripuliva i campi minati con un bastone e i turisti cominciarono a interessarsi alla sua attività. Da qui l’idea di Eoun: creare un museo con tutti i pezzi recuperati non solo per sensibilizzare sulla tragedia delle mine antiuomo, ma soprattutto per insegnare alle persone del luogo i pericoli degli ordigni non esplosi.
Il governo cambogiano però tollerava malvolentieri le attività di Eoun, perché la sua tecnica di sminamento non era riconosciuta come “legale”. Per questo, dopo essere anche finito in prigione un paio di volte, Eoun grazie all’appoggio di ONG internazionali andò a Londra per specializzarsi e accreditarsi come sminatore professionista, e poter formare a sua volta altri sminatori in Cambogia, dove c’erano ancora troppi campi minati e troppi incidenti. In seguito Eoun fonderà un’organizzazione regolare e certificata non solo per procedere allo sminamento, ma anche per prendersi cura dei bambini vittime delle mine, o perché mutilati, o perché rimasti orfani a cause delle mine.
Eoun oggi è ancora traumatizzato dal suo passato, sono cicatrici che non possono essere risanate anche a distanza di tanti anni, ma aiutare le persone a salvarsi dalle mine, che lui stesso ha contribuito a piazzare, è per lui l’unico modo per provare ad andare avanti.
E forse perché provare a correggere e a cambiare il male in bene è meglio che vivere tra rimorsi e rimpianti.
La farfalla della gentilezza
(Su Eoub Yeak c’è un documentario molto struggente: “A perfect soldier”, di John Severson, 2010)
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